Introduzione
Da “droga” a possibile prodotto sotto Monopolio di Stato: secondo quanto riportato da Il Fatto Quotidiano, Fratelli d’Italia prepara una svolta sulla cannabis light. Dopo mesi di stretta e sequestri seguiti allo stop imposto dal cosiddetto decreto sicurezza, nel partito di governo avanzerebbe un emendamento – associato al senatore Gelmetti – per inquadrare il settore sotto la regia pubblica. Una mossa che, se confermata, cambierebbe radicalmente il perimetro normativo e commerciale di un comparto già provato da incertezze e contenziosi.
Il contesto: cos’è la cannabis light e perché è al centro del dibattito
Con “cannabis light” si indicano prodotti derivati dalla canapa industriale a basso contenuto di THC e con prevalenza di CBD, sostanza non psicoattiva. In Italia la coltivazione della canapa è stata rilanciata dalla legge 242/2016 per usi industriali e tessili, ma la vendita delle infiorescenze è rimasta a lungo in una zona grigia. Negli ultimi anni si è alternata una giurisprudenza altalenante, mentre controlli e sequestri hanno creato incertezza per migliaia di piccoli operatori.
La recente stretta, ricondotta al “decreto sicurezza”, ha accentuato il contenzioso: negozi chiusi, stock sequestrati, imprenditori esposti a procedimenti penali o amministrativi, e un settore che, pur non operando sul mercato delle sostanze ad alto THC, è finito sotto un faro repressivo.
La possibile svolta: perché si parla di monopolio di Stato
Secondo la ricostruzione del quotidiano, Fratelli d’Italia avrebbe depositato o starebbe per presentare un emendamento – attribuito al senatore Gelmetti – che ricondurrebbe la cannabis light nell’alveo del Monopolio di Stato. In concreto, ciò significherebbe una gestione sotto l’Autorità dei Monopoli (oggi ADM), con regole simili a quelle di tabacco e affini: autorizzazioni, tracciabilità, controlli centralizzati e, potenzialmente, fiscalità dedicata.
Due le motivazioni politiche ricorrenti in scelte di questo tipo:
- Controllo e sicurezza: un perimetro chiaro per impedire derive verso prodotti ad alto THC, con standard di qualità e filiere tracciate.
- Gettito e semplificazione: incanalare un mercato reale e diffuso entro un regime fiscale e regolatorio stabile.
La novità sta soprattutto nel cambio di approccio: dal contrasto frontale che equiparava la cannabis light a “droga”, all’idea di gestirla in un sistema pubblico regolamentato. Un passaggio che, sul piano politico, suona come una vera e propria retromarcia.
Cosa potrebbe cambiare per imprese e consumatori
In assenza del testo ufficiale, è prudente parlare per scenari. L’esperienza italiana con i Monopoli suggerisce possibili direttrici di riforma:
- Licenze e autorizzazioni: definizione di chi può coltivare, trasformare, importare e vendere; requisiti di idoneità e conformità.
- Standard di prodotto: limiti chiari sul THC, analisi di laboratorio, etichettatura e informazioni al consumatore.
- Tracciabilità: sistemi digitali per seguire la filiera dalle coltivazioni al punto vendita.
- Canali di vendita: ipotesi di distribuzione tramite esercizi autorizzati (tabaccherie o negozi specializzati), con divieti ai minori e restrizioni pubblicitarie.
- Fiscalità: eventuali accise o imposte di consumo, con impatto sui prezzi finali.
Per le imprese oggi in sospeso tra sequestri e contenziosi, un quadro chiaro potrebbe significare riemersione dall’incertezza. Tuttavia, l’ingresso nel perimetro del Monopolio può comportare costi di compliance, ticket autorizzativi e margini più compressi, con il rischio di escludere operatori piccoli o poco capitalizzati.
Le contraddizioni politiche e il nodo della coerenza
La giravolta solleva interrogativi di coerenza: dopo una narrazione che ha spesso assimilato la cannabis light alle droghe, l’ipotesi di regolarla e tassarla sembra riconoscere di fatto la sua specificità rispetto alla cannabis ad alto THC. In termini comunicativi, il passaggio da “rischio per la salute” a “bene controllato dallo Stato” è significativo e potrà essere usato tanto dai critici, che parleranno di opportunismo fiscale, quanto dai sostenitori, che lo leggeranno come pragmatismo regolatorio.
Questioni aperte da seguire nel testo dell’emendamento
Molto dipenderà dai dettagli. Punti chiave da monitorare:
- Soglia di THC: definizione precisa dei limiti e delle tolleranze analitiche.
- Transitorio: come verranno trattate le giacenze e i procedimenti in corso; eventuali sanatorie.
- Classificazione prodotti: differenze tra infiorescenze, oli, cosmetici e altri derivati.
- Pubblicità ed esposizione: regole su comunicazione commerciale, packaging e avvertenze.
- Riparto competenze: ruolo di ADM, ministeri competenti e forze dell’ordine nei controlli.
- Impatto fiscale: misura delle accise e sostenibilità dei prezzi per l’emersione del mercato legale.
Possibili effetti economici e sanitari
Una regolazione stabile potrebbe
- ridurre il contenzioso e dare ossigeno a una filiera agricola e commerciale legale;
- generare entrate fiscali senza spingere i prezzi oltre soglie che alimenterebbero il mercato grigio;
- innalzare gli standard di qualità, riducendo rischi legati a prodotti non controllati.
D’altra parte, un regime troppo oneroso rischierebbe di favorire concentrazioni, ridurre la varietà dell’offerta e spingere una parte della domanda verso canali informali.
Conclusioni
Se confermata, la proposta di inquadrare la cannabis light nel Monopolio di Stato rappresenterebbe uno spartiacque: da materia trattata in chiave repressiva a comparto regolato e fiscalizzato. La coerenza politica della svolta sarà al centro del dibattito, ma per imprese e consumatori il vero discrimine saranno i dettagli tecnici dell’emendamento Gelmetti: soglie, licenze, accise e transitorio. Da questi elementi dipenderà se la riforma diventerà un volano di legalità e certezza o l’ennesimo ostacolo burocratico in un settore già fragile.






