La Corte costituzionale esaminerà la legittimità dell’articolo 18 del decreto Sicurezza, varato dal governo Meloni il 4 aprile 2025, che introduce un divieto esplicito sulla lavorazione e sulla vendita delle infiorescenze di canapa a basso contenuto di THC (la cosiddetta cannabis light). La questione è stata sollevata dal Tribunale di Brindisi, che ha rimesso gli atti alla Consulta ravvisando profili di possibile incostituzionalità. In gioco non c’è solo il futuro di migliaia di operatori del settore, ma anche la coerenza del quadro normativo tra diritto nazionale ed europeo.
Cosa prevede l’articolo 18 del decreto Sicurezza
L’articolo contestato introduce un giro di vite sulle infiorescenze di canapa industriale, vietandone la lavorazione e la commercializzazione, anche quando derivano da varietà certificate e a basso tenore di THC. La disposizione mira a chiudere la principale area grigia che, negli ultimi anni, aveva consentito la diffusione nei negozi di prodotti a base di CBD sotto la soglia psicoattiva.
Con il nuovo impianto, la filiera sarebbe di fatto limitata a usi e derivati diversi dai fiori — per esempio alimenti a base di semi, cosmetici o materiali tecnici — escludendo il prodotto che ha trainato la crescita del mercato. La norma rafforza inoltre i poteri di controllo delle autorità e prevede un regime sanzionatorio più severo per chi non si adegua.
Perché il Tribunale di Brindisi ha rimesso gli atti alla Consulta
Secondo il giudice rimettente, la questione non è manifestamente infondata. Tra i possibili profili critici emergono:
- Ragionevolezza e proporzionalità (art. 3 Cost.): il divieto generalizzato sulle infiorescenze potrebbe risultare eccessivo rispetto alle finalità di tutela della salute e dell’ordine pubblico, soprattutto in presenza di prodotti con tenori di THC irrilevanti sul piano psicoattivo.
- Libertà di iniziativa economica (art. 41 Cost.): la chiusura dell’intero segmento delle infiorescenze potrebbe comprimere in modo sproporzionato l’attività di imprese agricole, trasformatori e rivenditori.
- Chiarezza e determinatezza: la stratificazione di norme e prassi contrastanti degli ultimi anni ha generato incertezza per operatori e controlli; il nuovo divieto rischia di non risolvere del tutto le ambiguità applicative.
- Coerenza con il diritto dell’Unione europea: la canapa industriale è ammessa nel catalogo europeo delle sementi e sostenuta dalla PAC; occorre verificare se un divieto nazionale sulle infiorescenze sia compatibile con la libera circolazione e con gli obiettivi agricoli europei.
Il quadro normativo: tra legge 242/2016 e diritto UE
La legge 242/2016 ha promosso la coltivazione della canapa industriale per usi alimentari, tessili, edili e cosmetici, a partire da varietà certificate con tenore di THC molto basso. Nell’ordinamento italiano, tuttavia, la vendita delle infiorescenze non è mai stata definita con chiarezza: da qui sequestri, pronunce giurisprudenziali altalenanti e pratiche commerciali divergenti sul territorio.
In ambito europeo, la coltivazione della canapa entro i limiti di THC previsti (oggi generalmente 0,3%) è legittima e sostenuta come coltura a basso impatto. Restano però le competenze nazionali in materia di salute pubblica e ordine pubblico, che gli Stati possono richiamare per introdurre restrizioni, purché necessarie, proporzionate e non discriminatorie.
Gli impatti su filiera e consumatori
La stretta sulle infiorescenze investe l’anello più dinamico del settore: quello dei fiori e dei preparati ricchi di CBD. Gli effetti potenziali includono:
- Agricoltori: incertezza sugli sbocchi per le coltivazioni, riconversioni forzate verso usi meno redditizi e rischio di giacenze invendute.
- Trasformatori e rivenditori: contrazione dell’offerta, revisione dei cataloghi e incremento dei costi di compliance.
- Consumatori: minore disponibilità di prodotti a base di CBD in forma di infiorescenza e possibile spostamento verso derivati alternativi (oli, cosmetici, alimenti).
- Forze dell’ordine: maggiore chiarezza formale sul divieto, ma persistenti esigenze di controllo analitico per distinguere prodotti conformi e non, oltre al coordinamento con l’eventuale esito della Consulta.
Cosa può decidere la Corte costituzionale
L’udienza sarà fissata nei prossimi mesi. Al termine, la Corte potrà:
- Rigettare le censure, confermando il divieto così com’è;
- Dichiarare l’illegittimità totale o parziale della norma, rimuovendo il divieto o circoscrivendolo;
- Optare per una pronuncia interpretativa, indicando una lettura della norma compatibile con la Costituzione (ad esempio, limitando il divieto a specifiche condizioni di rischio).
In attesa della decisione, la disposizione resta in vigore, salvo diversi interventi del legislatore o eventuali effetti del sindacato di compatibilità con il diritto UE nei singoli procedimenti.
Come orientarsi nell’incertezza: alcune buone pratiche
- Verifica normativa puntuale: aggiornarsi su atti applicativi, circolari e provvedimenti locali.
- Tracciabilità: conservare documentazione su sementi certificate, lotti, analisi di laboratorio accreditate e destinazioni d’uso.
- Catalogo prodotti: privilegiare linee chiaramente ammesse (semi e derivati alimentari, cosmetici conformi, materiali tecnici), in attesa di chiarimenti sulle infiorescenze.
- Consulenza legale: valutare l’adeguamento contrattuale e informativo verso clienti e fornitori.
Conclusioni
Il rinvio alla Consulta segna un passaggio decisivo per la cannabis light in Italia. La scelta della Corte delineerà i confini tra tutela della salute, libertà d’impresa e coerenza con gli impegni europei. Qualunque sia l’esito, il settore ha bisogno di regole chiare, proporzionate e stabili: solo così sarà possibile conciliare legalità, innovazione agricola e protezione dei consumatori.





