In diverse procure italiane si moltiplicano i dissequestri di canapa industriale e infiorescenze prelevate durante controlli delle forze dell’ordine sulla base del cosiddetto Decreto sicurezza. I giudici, valutati i campioni e la documentazione, stanno restituendo i prodotti agli agricoltori e alle imprese, rilevando l’assenza di un concreto effetto stupefacente e la conformità alle norme che regolano la filiera della canapa.

Il contrasto tra prassi operative e interpretazione giudiziaria riaccende il dibattito: come si conciliano i controlli con la tutela di un comparto agricolo riconosciuto dalla legge? E quali accorgimenti dovrebbero adottare aziende e istituzioni per ridurre il contenzioso?

Cosa sta accadendo: sequestri sul campo, dissequestri in tribunale

Negli ultimi mesi, pattuglie e nuclei investigativi hanno eseguito sequestri di piante, infiorescenze e derivati della canapa, richiamandosi alle disposizioni del Decreto sicurezza. In sede giudiziaria, però, molti provvedimenti sono stati rivisti: i tribunali, esaminate le analisi di laboratorio e la tracciabilità delle partite, hanno disposto la restituzione dei materiali, riconoscendo la natura lecita delle attività quando rientrano nel perimetro normativo della canapa industriale.

La chiave di volta è sempre la stessa: non è sufficiente l’apparenza del prodotto (l’odore, l’aspetto) per qualificare una sostanza come stupefacente. Occorre verificare se sussista un’effettiva capacità di produrre effetti psicotropi, oltre alla conformità alle varietà e agli usi consentiti dalla legge.

Il quadro normativo essenziale

La canapa industriale è disciplinata, in Italia, dalla legge 242/2016, che promuove coltivazione e trasformazione di varietà certificate iscritte al catalogo europeo. La norma tutela gli agricoltori che operano su varietà consentite e per finalità industriali, alimentari, tessili, cosmetiche o per la bioedilizia, a condizione che siano rispettati gli standard previsti e garantita la tracciabilità.

La giurisprudenza, negli anni, ha affinato un principio cardine: la commercializzazione di prodotti derivati dalla canapa non integra automaticamente un illecito penale. Per configurarlo, occorre accertare – con basi tecnico-scientifiche – un’efficacia drogante in concreto. In assenza di tale evidenza, e laddove sia dimostrata la provenienza da varietà certificate e l’aderenza agli usi leciti, l’attività ricade nella sfera della legalità.

Le motivazioni dei dissequestri

Le ordinanze e i decreti di dissequestro più recenti si fondano su alcuni elementi ricorrenti:

  • Analisi tecniche: i giudici richiedono riscontri oggettivi (referti di laboratorio) sull’idoneità del prodotto a produrre effetti psicotropi. Semplici test preliminari o parametri generici non sono ritenuti sufficienti.
  • Tracciabilità: documenti di accompagnamento, certificati di semente, lotti riconducibili a varietà ammesse e contratti di filiera sono elementi che depongono per la liceità.
  • Proporzionalità del sequestro: quando vi è documentazione completa e i livelli di principi attivi non evidenziano capacità drogante, la misura del sequestro viene considerata non necessaria.
  • Onere probatorio: non basta la presunzione; l’accusa deve dimostrare la sussistenza dei presupposti dell’illecito. In difetto, prevale la tutela dell’attività economica svolta secondo legge.

Ne discende che, nei casi di canapa industriale conforme, i tribunali stanno privilegiando un approccio basato su evidenze scientifiche e su una lettura coerente con la finalità promozionale della legge 242/2016.

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Effetti sulla filiera: costi, incertezze e reputazione

Per agricoltori e trasformatori, i sequestri – anche se poi annullati – comportano interruzioni di fornitura, deterioramento di partite sensibili, spese legali e danni reputazionali. La restituzione della merce non sempre compensa le perdite dovute a ritardi, mancata stagionalità o rottura di contratti con distributori e retail.

Al tempo stesso, l’alto tasso di dissequestri induce operatori e associazioni a chiedere criteri condivisi e verifiche rapide, per evitare che il controllo si trasformi in un disincentivo a investire in un comparto che, tra agricoltura e manifattura, può generare occupazione e innovazione sostenibile.

Indicazioni operative per aziende e agricoltori

In attesa di linee guida più chiare, alcune buone pratiche possono ridurre il rischio di contenzioso:

  • Tracciabilità completa: conservare certificati delle sementi, fatture, DDT, schede tecniche, risultati di laboratorio e contratti di vendita.
  • Analisi indipendenti: effettuare test su lotti e semilavorati presso laboratori accreditati, ripetendo le analisi nelle fasi critiche (raccolta, stoccaggio, trasformazione).
  • Etichettatura e destinazione d’uso: indicare chiaramente usi consentiti e canali di vendita; evitare claim ambigui o riferimenti a effetti psicoattivi.
  • Procedure interne: definire SOP per i controlli, nominare un responsabile qualità, formare il personale su gestione campioni e conservazione documenti.
  • Assistenza legale: predisporre un protocollo di intervento con un legale esperto, utile in caso di accessi ispettivi o prelievi.

Cosa cambia per i controlli

Le decisioni giudiziarie spingono verso verifiche più mirate e basate su analisi ufficiali, scoraggiando sequestri generalizzati. Test rapidi, laddove utilizzati, dovrebbero essere integrati da accertamenti con valore probatorio, così da tutelare sia l’interesse pubblico sia la continuità delle attività in regola.

Il nodo politico e normativo

Il confronto tra governo, forze dell’ordine e magistratura mette in luce una zona grigia: come distinguere con certezza, sul campo, tra canapa industriale e prodotti illeciti senza penalizzare chi opera legittimamente? Possibili vie d’uscita includono linee guida uniformi su campionamento e analisi, chiarimenti sugli usi delle infiorescenze e una comunicazione istituzionale che riduca margini di discrezionalità.

Un allineamento tra normativa, prassi e giurisprudenza ridurrebbe i sequestri infondati, migliorerebbe la prevedibilità per le imprese e libererebbe risorse investigative verso condotte realmente pericolose.

Conclusioni

I dissequestri disposti dai tribunali confermano un principio semplice: senza prova di un’effettiva efficacia stupefacente, la canapa industriale resta nel solco della legalità. Per la filiera, la strada è fatta di trasparenza, controlli documentati e qualità certificata. Per le istituzioni, la sfida è costruire regole applicate in modo omogeneo, che tutelino salute pubblica e investimenti nel rispetto delle norme vigenti.

Nota: questo articolo ha finalità informativa e non sostituisce il parere legale.