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Tar boccia la cannabis light: altra vittoria alla libertà!

Tar boccia la cannabis light: altra vittoria alla libertà!

Ah, la tanto agognata “libertà” di fumare una cannetta leggera, finalmente celebrata come una conquista epocale… almeno finché il TAR non decide di ricordarci che, in Italia, anche la cannabis light deve rispettare le regole rigide e impietose di un sistema burocratico che sembra più interessato a soffocare ogni spiraglio di innovazione e buon senso che a tutelare i diritti dei cittadini. E così, mentre altrove nel mondo si marcia spediti verso una regolamentazione più aperta e consapevole, il nostro amato tribunale amministrativo ci regala un’altra “vittoria alla libertà” – tra virgolette perché, evidentemente, la vera libertà è quella di rimanere incatenati a restrizioni anacronistiche e a norme che sembrano scritte più per alimentare un perenne stato di confusione che per garantire chiarezza e progresso. Benvenuti nell’Italia della cannabis light, dove anche la ‘leggerezza’ diventa un macigno insormontabile.

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Il Tar smonta la cannabis light e la libertà prende un altro colpo

Un’ennesima batosta nella lunga e travagliata corsa della cannabis light: il TAR, con la sua sentenza, ha deciso di confermare lo stop alla vendita dei derivati di cannabis, mettendo in fila motivazioni che sembrano più un elenco di paure e pregiudizi che una vera analisi scientifica. In un colpo solo, la giustizia amministrativa affonda ogni speranza di vedere riconosciuto un prodotto ormai consumato liberamente in diverse altre giurisdizioni europee, trasformando la tutela della salute pubblica in un fumoso alibi per mantenere intatti vecchi tabù.

Tra gli argomenti usati per giustificare questa decisione troviamo:

  • il rischio ipotetico e mai dimostrato di effetti psicotropi;
  • la presunta necessità di combattere il mercato illegale;
  • un imbarazzante richiamo alla difficoltà di identificare l’effetto “soft” dei prodotti;
  • e naturalmente, la “tutela generale” della salute pubblica, ormai brandita come uno scudo invincibile contro ogni innovazione.

Il risultato è un grave colpo alla libertà di scelta dei cittadini e a un mercato che, con regole chiare, avrebbe potuto rappresentare una risorsa economica e sociale. La sentenza del TAR non fa altro che perpetuare un circolo vizioso di proibizionismo mascherato da ragione di stato, dimostrando ancora una volta come la legislazione italiana su questo tema continui a navigare a vista, ignorando le evidenze e le istanze di una società sempre più pluralista e informata.

Quando la burocrazia vince contro il buon senso: il paradosso del proibizionismo moderno

Non c’è niente di più sorprendente nell’epoca della digitalizzazione che ritrovarsi intrappolati in un ginepraio di leggi, ordinanze e regolamenti che sembrano usciti da un romanzo kafkiano. La decisione del TAR di bocciare la cannabis light è un perfetto esempio di come la burocrazia possa trasformare il buon senso in un sovrappiù di costi sociali e culturali. Mentre altre nazioni abbracciano un approccio pragmatico sulla questione, in Italia si continua ad agitare il fantasma del proibizionismo, perdendo di vista che la sostanza in questione ha valori di THC praticamente inoffensivi e non rappresenta un pericolo reale.

In questo scenario paradossale, dove la burocrazia si erge a giudice supremo di ciò che è accettabile o meno, assistiamo a una lista infinita di assurdità:

  • divieti che sfidano la scienza e il buon senso, impedendo attività imprenditoriali oneste;
  • una giustizia amministrativa che sembra dimenticare il contesto e sceglie di alimentare paure obsolete;
  • un’ostinata tenuta del proibizionismo mascherato da difesa della salute pubblica.

È la prova lampante che, quando l’apparato statale si arrocca su posizioni rigide, a perdere non è solo la logica, ma anche la libertà di scelta e l’innovazione che potrebbero nascere da una legislazione moderna e meno ipocrita.

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Le conseguenze per i piccoli imprenditori e i consumatori “leggeri” ignorati dal tribunale

È quasi comico osservare come il tribunale decida di chiudere la porta in faccia proprio a chi, con fatica e passione, ha creduto in un mercato nascente e promettente come quello della cannabis light. I piccoli imprenditori, veri pionieri della legalità e dell’innovazione, si ritrovano ora schiacciati da un verdetto che ignora completamente le loro esigenze e prospettive, riducendo la loro impresa a un gioco pericoloso senza regole chiare. Non solo si perde un’opportunità economica preziosa, ma si manda un segnale eloquente: chi non ha la potenza di fuoco dei grandi gruppi è destinato a sparire nel dimenticatoio burocratico.

Dall’altro lato, i consumatori “leggeri”, quelli che si affidavano alla cannabis light come a un’alternativa legale e sicura, vengono trattati come se fossero marziani. Un mercato intero viene cancellato, lasciando spazio solo a chi può permettersi di navigare acque torbide o addirittura oscure. Ecco cosa si perdono:

  • Accesso a prodotti controllati e trasparenti, invece di un mercato grigio e non regolamentato;
  • Prezzi equi grazie alla concorrenza, ora azzerata dalla chiusura indiscriminata;
  • Un’alternativa reale alla cannabis tradizionale, legata al mercato illegale.

Nel complesso, questo pronunciamento sembra un’ennesima dimostrazione di come la tutela dei piccoli attori e di chi fruisce quotidianamente di scelte libere sia meno importante della freddezza di una giustizia distante dai problemi veri.

Forse è ora di svegliarsi: suggerimenti per una politica più sensata e meno dogmatica

È davvero così difficile accettare che la realtà non si piega ai dogmi ideologici? Mentre il TAR si affretta a bloccare la vendita di cannabis light, la politica sembra ancora intrappolata in un loop infinito di paure ancestrali e luoghi comuni che nulla hanno a che vedere con i dati scientifici o, Dio non voglia, con il buon senso. Quello che serve non è un altro giro di giostra per colpire un fenomeno che, invece di essere demonizzato, andrebbe regolamentato con testa e pragmatismo. Ma evidentemente preferiamo il teatrino dell’emergenza, dove si finge di proteggere i cittadini mentre si impongono divieti che non fanno altro che alimentare il mercato nero e la confusione normativa.

La politica dovrebbe tornare a fare quello che le compete davvero: governare con logica e senza pregiudizi. Tra le azioni auspicabili, non sarebbe male considerare:

  • un dialogo aperto e trasparente con esperti in materia per smontare la paura con i fatti;
  • una revisione della normativa che tenga conto della realtà economica e sociale, evitando di trasformare un prodotto a basso rischio in un capro espiatorio;
  • l’abbandono immediato delle posizioni oltranziste che ricordano più un processo medievale che una gestione moderna;
  • un investimento serio in campagne di informazione che contrastino la disinformazione dilagante, senza la retorica dei proibizionisti a oltranza.

Ma si sa, svegliarsi quando ormai la confusione ha fatto danni sembra essere diventata una virtù rara. Nel frattempo, festeggiamo questa ennesima “vittoria” per la libertà che però, a ben guardare, sembra una clamorosa sconfitta di buon senso e civiltà.

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