Prezzo del Tabacco: lo Stato Guadagna oppure No?
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Prezzo del tabacco sempre più alto a causa dei continui “ritocchi”
Ormai tutti sappiamo che negli ultimi decenni, il prezzo del tabacco non ha fatto altro che aumentare: un po’ per accise e tasse varie, un po’ per “ritocchi” commerciali e un po’ per aumenti dei prezzi al venditore e al consumatore. Spesso aumenti che venivano giustificati come iniziative per far diminuire o per disincentivare il vizio del fumo nei consumatori specialmente minorenni. Altre volte usati come gettito finanziario allo Stato in periodi di crisi.
La presentazione di questo prodotto è stata realizzata con il plugin AAWP.
Ma ci siamo mai chiesti se questi presunti vantaggi abbiano mai sortito effetto? E’ diminuito il numero di fumatori minorenni e non, con l’aumento del prezzo del tabacco? Lo Stato ha guadagnato dall’aumento dei prezzi delle sigarette e del tabacco?
Ad una prima impressione sembrerebbe di si. Ma andiamo con ordine.
Gli USA sono stati i primi a proporre uno studio economico in tal senso, studio dell’autorevole “National Youth Tobacco Use Surveys, Centers for Disease Control and Prevention”. Come si evince facilmente dalla tabella in basso, nonostante dal 1991 al 2001 il costo del tabacco abbia raggiunto limiti di aumento del 400%, il numero di fumatori in età adolescenziale è aumentato costantemente, tranne nel 2001, anno in cui l’aumento è stato addirittura del 56% in un solo anno. E nel corso degli anni, studi successivi hanno confermato questo andamento, ad esclusione degli ultimi anni, in cui la crisi economica ha “piegato” la volontà dei fumatori di fronte ad ulteriori aumenti sproporzionati dei prezzi. Già, perché nonostante tutto, sono previsti ulteriori aumenti a partire dalla fine di questo anno. Per fare un esempio, già a partire dal 2012 con l’ultima legge di stabilità e dal 2016 con l’ingresso in vigore della direttiva europea anti-fumo, in Italia è stato registrato l’aumento più alto mai stabilito da un governo diviso in tre “tappe”:
- aumento della tassa minima sul tabacco (che si calcola convenzionalmente in 1000 sigarette) che passa da 125,7 euro del 2013 a 140 euro del 2014 con un aumento previsto di ulteriori 5 euro tra il 2015 e il 2016;
- aumento dell’IVA dal 21% al 23% del 2013;
- aumento dell’accisa sul tabacco che nell’ultimo triennio è passato dal 58,2% al 58,5% e che secondo le indiscrezioni dovrebbe salire di ulteriori 0,2 punti percentuali arrivando alla cifra record di 58,7%.
Queste tre tappe porteranno il prezzo medio del tabacco ad un aumento di un quinto: 40 centesimi nel 2014, altri 20 centesimi nel 2015 e ulteriori 20 centesimi nel 2016.
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Tutto questo ha almeno portato ad un incremento nelle entrate statali?
Questi sproporzionati aumenti, uniti alla crisi economica, dal 2012 hanno portato ad un lieve calo dei consumi (soprattutto da parte dei consumatori “low cost”, cioè delle marche più economiche rispetto a quelle già sopra il prezzo medio) che ha subito un serio stop nel 2013 e che continua nel 2014. Nei primi 8 mesi del 2013 le entrate statali sono diminuite del 6,1% causando una perdita di 455 milioni di euro secondo la nota del Ministero dell’Economia dell’ex ministro Saccomanni in carica all’epoca.
Questo dimostra perciò che a differenza del decennio scorso un livello di aumenti esagerati porta ad una diminuzione del gettito erariale.
Questo è dimostrato anche da uno studio del CASMEF (Centro Arcelli per gli Studi Monetari e Finanziari della LUISS Guido Carli) che dimostra come ogni ulteriore aumento della pressione fiscale sul tabacco porta una diminuzione delle entrate per lo Stato, mettendo in discussione tutte le misure fin’ora intraprese, favorendo anzi, secondo lo stesso studio, il mercato del contrabbando aumentato dell’8% nel 2013 e presumibilmente di più nel 2014.
Per non parlare delle ricadute sul mercato del lavoro.
La filiera del tabacco offre lavoro a 50 mila addetti ai quali vanno aggiunti i 110 mila posti di lavoro delle tabaccherie. Entrambi risentiranno sicuramente di questi aumenti sproporzionati e della conseguente drastica diminuzione dei consumi, che certamente porterà a tagli di organico, licenziamenti e sicuramente fallimenti di numerose imprese.
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